Non siamo una società scientifica
Ma una comunità spirituale
Umberto Dell’Acqua
Pedagogia globale: presentazione di una comunità spirituale
Che cos’è pedagogia globale?
È un’associazione di persone che si occupa essenzialmente della promozione delle scienze dell’uomo.
A cura di Mauro Bianchi
Badate, ho detto “scienze dell’uomo” e non “scienze umane” perché si vuole che tutte le discipline, e non soltanto quelle tradizionalmente dette umanistiche, siano qui considerate, a condizione che servano l’uomo e la sua persona integralmente intesa.
Nell’intenzione dei fondatori, essa nasce come persona-di-persone, e cioè come comunità, improntata soprattutto spiritualmente ma anche scientificamente, il cui intento è coinvolgere gli specialisti di tutte le discipline che si occupano dell’uomo e del suo destino, inteso, qui ed ora, come qualcosa che deve sempre essere formato.
Vi ricordo che l’homo sapiens è anche homo educandus.
Essa vuole gettare nel mondo atti pedagogici ed educativi rettamente intesi ed eticamente validi. E per fare questo si rivolge a tutto intero l’uomo considerato come un globo, le cui componenti risultino da un processo educativo corretto e siano armoniche e ben distribuite.
Occorre, per capirci meglio, scindere -per il momento- le due parole e usare il lanternino per cercare di far luce sul significato e sul perché non siamo, come ha ripetuto più di una volta il nostro fondatore e capo, associazione scientifica (… ce ne sono troppe!) ma comunità spirituale o, per usare le parole del nostro gran capo, “pneumica” (pneuma: respiro, spirito).
Dove le parole perdono significato la gente perde la propria libertà. Se si scompongono i termini e se ne analizza il significato originario, si potrà capire perché un’associazione simile non può accontentarsi dell’etichetta “scientifica” con cui vengono bollate associazioni di questo tipo.
Pertanto nello stato confusionale in cui molti docenti -anche universitari e alcuni di chiara fama- ed educatori, alcuni dei quali anche pedagogisti, sono piombati, occorrerà interrogarsi sull’avvenire dello spirito.
Pedagogia: significato di un vocabolo che indicava una disciplina
Anzitutto il termine “pedagogia” che, nell’accezione corrente, scade a “riflessione sull’educazione” (complice certa mentalità sedicente scientifica), nel senso etimologico ed originario del termine è “prendi un bambino per mano!”. La pedagogia è letteralmente questo: accompagnare un bambino nel suo crescere e aiutarlo a risolvere in autonomia e responsabilità, gradualmente e correttamente concesse, i piccoli e grandi problemi che il cammino della vita gli sottopone in ogni momento, in ogni istante (non si dimentichi che l’uomo diventa tale quando dice il suo primo “no perché…” Ed è disposto ad accettarne responsabilmente le conseguenze, in bene e in male).
Essere educatore comporta una relazione formativa, in una parola: pastorale (educare deriva dal latino “e-ducere” e significa condurre, portare fuori… il gregge al pascolo); trasferendo la metafora del pastore che conduce il gregge al pascolo, viene alla mente quanto è lungo educare davvero! Esso è un processo che dura lungo tutto l’arco del cammino vitale ed è insito in ogni relazione. Anche la più insignificante, anche la più informale ha qualcosa di educativo.
L’idea che si ha dell’educazione e del compito dell’educatore dipende evidentemente dall’idea che si ha dell’uomo e del suo destino: la nostra società occidentale ha perso il senso e il fine dell’educazione, accontentandosi di costruire meri fasci di ruoli sociali più o meno “complessi” da adibire alle più disparate mansioni ma vuoti (con la complicità di nuove discipline dalla forma e dal contenuto equivoci), perché ha smarrito il concetto e il senso di persona. Se così è, occorre recuperare in forma originaria un personalismo comunitario, che, nell’intenzionalità di un processo educativo corretto, dia adito a metodologie educative che favoriscano la crescita e lo sviluppo di quell’essere che coincideva con il dover essere, di quell’ontologia che deve ri-partire dall’etica. L’uomo se non vuole perdere il senso del proprio esser-ci, del proprio “Da sein”, deve ri-cercare l’Assoluto Simpliciter. (Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta). Occorre riscoprire il senso del pellegrinaggio: proprio il nostro grande capo più di una volta ebbe a dire alle Giubbe Rosse: “felice colui che si sente eternamente in cammino e vede in ogni uomo un compagno di viaggio desiderato.”
Per entrare nello specifico dell’educazione propriamente detta si dovrebbe partire dai valori che, quali stelle polari, indicano all’uomo il cammino da percorrere per vivere bene il proprio pellegrinaggio terreno.
Vi ricordo che non siamo abitanti in pianta stabile su questo pianeta, ma pellegrini che, con i doni, carismi e limiti che abbiamo avuto in consegna dal creatore, hanno il dovere e la responsabilità di edificarsi od estinguersi, ad arbitrio. Non solo. Subentra, in un rapporto educativo corretto, la componente “relazione” che deve essere considerata nel giusto peso se si vuole giocare educativamente in modo retto e corretto.
Se “educare” è condizionato dal modo di relazionarsi, non si può non fare i conti con la libertà di entrambi i soggetti principali (educando ed educatore). Allora la pedagogia non è scienza tout court, come da più parti si sostiene oggi, sulla scorta di una nuova forma di meccanicismo strisciante. Essa deve fare i conti con la libertà e l’ambivalenza insiti nell’essere umano. “La prova della nostra relazione educativa si ha quando, dolorosamente, ci urtiamo con la misteriosa frontiera della libertà altrui che non possiamo sopprimere né accantonare. Che cosa non daremmo per vincere le invisibili resistenze che non si urtano da nessuna parte ma che si indovinano ovunque, per accendere una scintilla, per toccare chi ci sta di fronte e dal quale ci si sente separati e senza rimedio”.(M. Blondel)
Se entrambi i soggetti accettano la sfida che la Stimmung dell’epoca in cui si trovano a vivere sottopone loro, allora si può cominciare a parlare dell’educazione e quindi di atti pedagogici o come preferisco dire io, dal momento che essa si estende lungo tutto l’arco del cammino vitale, “andragogici”.
Perché Globale?
Essa è “globale” per una serie di motivi di cui tre mi paiono i principali:
1- Considera la persona umana come un globo strutturato e con tutte le componenti armonicamente distribuite ed interagenti fra loro, con un predominio leggero dello spirituale.
Quale distanza abissale dalla globalizzazione come la si intende oggi in quasi tutti gli ambienti!
2- Accoglie tutte le discipline che concorrono alla costruzione dell’uomo in divenire -anche quelle apparentemente estranee e diverse da…- dando loro un posto nella ricerca e nel sapere non solo a livello interdisciplinare ma anche epistemologico (con una leggera supremazia delle cosiddette scienze formative).
3- Opera ovunque richiesta la sua competenza professionale (profiteor = mi confesso, mi riconosco) gettando nel mondo atti pedagogici, miranti alla costruzione o promozione e, laddove fosse necessario, al recupero dell’uomo integrale e della sua persona globale secondo il motto:
“ognuno dov’è, assieme per ricercare, ovunque per promuovere.”
Mauro Bianchi, 9 settembre 2004