Visita al Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti (CPPP) – Piacenza
Sintesi dell’incontro a cura di Daniela Pozzoli
LINGUE E LINGUAGGI: LE DIVERSITA’ SI PARLANO NEL CONFLITTO
Sabato 10 settembre
Partiamo da un giro di tavolo fra i membri di PG, sulle riflessioni che ognuno ha elaborato durante questa estate in seguito alla lettura dell’ultimo libro di Daniele Novara “La grammatica dei conflitti” Edizioni Sonda, Casale Monferrato.
L’ animato Workshop sul tema, segue indicativamente questo schema di discussione:
- Le diversità si individuano e si affermano nel conflitto?
- Le diversità sanno stare nel conflitto?
- Le diversità si parlano nel conflitto?
- La forza delle parole: Conflitto e violenza: le parole possono essere una forma di violenza? Novara dice che le parole sono sempre strumento di mediazione
- Quali presupposti occorrono perché il conflitto sia opportunità?
- Conflitto e linguaggio simbolico: il peso dei tasti dolenti
- Conflitto e processo riconciliatorio
Registrati a Pedagogia Globale per continuare a leggere
Iscriviti come utente registrato a Pedagogia Globale per continuare a leggere questo contenuto. Alcuni articoli e documenti sono accessibili solamente ai soci. Se sei già registrato, effettua l'accesso per continuare a leggere l'articolo.
Consapevoli che le domande siano più ‘umane’ delle risposte che a volte pretendono di essere risolutive e quindi ‘divine’, ce ne porremo via via diverse (nel testo evidenziate in azzurro) , da presentare all’incontro con D. Novara.
Queste stesse domande ci aiuteranno ad addentrarci più preparati nei conflitti molteplici del quotidiano, secondo il metodo fenomenologico ed esistenziale suggerito dal testo.
Scegliamo di incominciare dal punto 4., come anche avviene nel libro e man mano spazieremo nelle varie tematiche dello schema.
4 – La forza delle parole
La ricerca del significato vero delle parole che usiamo ci appassiona e mettiamo in comune le nostre difficoltà nel fare chiarezza, certi che ce la caveremo facilmente, visto che lavoriamo insieme da tanto tempo… Invece è proprio vero che i linguaggi che usiamo sono sempre diversi o quantomeno carichi di valenze emotive diverse, che non sempre sappiamo esprimere con chiarezza neppure a noi stessi.
E allora la prima domanda che ci urge sottoporre a Daniele sarà:
4.1. Ma davvero le parole sono sempre strumenti di mediazione del conflitto? Quante volte abbiamo subito violenza tramite parole forti, pronunciate con toni alterati, astiosi, da cui ci siamo sentiti feriti…
Quante volte noi stessi abbiamo usato parole oltraggiose, con lo specifico intento di escludere, emarginare, eliminare il nostro interlocutore… Gli stessi scherzi, le battute ambigue rivolte a qualcuno possono essere interpretati in molti modi, anche come violenze… E così pure i silenzi, gli ammiccamenti… Evidentemente questi atteggiamenti seppur solo verbali, sono strumenti bellici, più che conflittuali, proprio perché indicano la volontà di escludere ogni possibile relazione costruttiva con l’interlocutore.
6 – Conflitto e linguaggio simbolico
6-1. E chi non sa ‘parlare’?, cioè non sa esprimere le proprie emozioni a parole? E chi non è arrivato a ‘simbolizzare’ il linguaggio, ad addentrarsi nei vari significati delle parole, dei gesti, degli atteggiamenti? Come potrà giungere a ‘raccontarsi’, a far entrare nel suo dire i frammenti di realtà che non riesce a leggere?
Come aiutarlo a riconoscere e accettare i ‘tasti dolenti’ e a capire che anche gli altri sono spesso nella sua stessa situazione? Come va guidato nell’apprendimento del linguaggio simbolico? (C’è chi fra noi sottolinea che ‘chi soffre, in realtà s’offre’!). Il colloquio maieutico suggerito da Novara ci manifesta la necessità di un approfondimento.
1- Le diversità nel conflitto
1-1. Siamo d’accordo nell’adottare l’approccio cognitivista, seguito dal testo, di cui si offre una ‘grammatica’ applicativa, rifiutando i modelli teorici e cercando vie alternative per imparare a ‘stare’ nei conflitti, cioè nella vita, consapevoli del rapporto inscindibile che c’è tra linguaggio e cultura.
A questo punto ridefiniamo cultura come “struttura di aspettative”, quindi secondo un’ottica progettuale e in fieri, mai statica. Ciascuno risulta quindi attore e costruttore di cultura se si riconosce responsabile dei propri comportamenti ed è pronto a confrontarli con quelli degli altri.
Rimane da approfondire il problema che deriva dalla responsabilità legata al ruolo, per es. a quello dell’educatore, o del terapeuta, o del dirigente in un gruppo aziendale. Quindi la dimensione etica della scelta se intervenire o meno in un conflitto esterno e su come intervenire, su come creare nuova cultura.
1-2. Ma ci può essere anche chi gode nel creare conflitto. Non può essere questo piacere perverso, ma espressivo di forza vitale, l’origine della violenza? (La vendetta si gusta come un piatto freddo). In questo caso si disconfermerebbe la tesi di Novara, che nega che il conflitto sia all’origine della violenza.
2 – Stare nel conflitto
2-1. Nel caso in cui le diversità non si siano identificate come tali, non sapranno stare nel conflitto, né tantomeno sapranno parlarsi. L’una tenderà a dominare sull’altra e quindi ad annullare la diversità nel suo essere, sopraffacendo l’interlocutore, percepito come avversario e come nemico pericoloso da eliminare, o da assimilare a sé, da depredare del potere e dell’autonomia. La violenza si manifesterà così in tutte le sue accezioni.
3 – Parlarsi nel conflitto
3-1. I soggetti, nella loro diversità, si parlano se usano un linguaggio che sanno interpretare o che imparano a decodificare via via che se ne servono. Inoltre esse si parlano più nel colloquio (presuppone stima reciproca e disponibilità e apertura al confronto) che nel dialogo (un agone fra colleghi – tesi e antitesi – che presuppone una mediazione esterna accettata da entrambi – termine medio – per giungere a una conclusione asettica, formale, da riempire di contenuti eventualmente in seguito, ma sempre valida secondo la logica aristotelica di cui l’occidente si serve come se fosse l’unica linea di pensiero condivisibile universalmente, mentre sappiamo che per es. in oriente si privilegia il ragionamento circolare o analogico rispetto a quello lineare…).
5 – Presupposti perché il conflitto sia opportunità
5-1. Bisogna che il conflitto sia vissuto come opportunità, attraverso l’utilizzo di questa grammatica (ancora ci serve un chiarimento e un approfondimento da parte dell’Autore su colloquio maieutico e domande maieutiche)
7 – Conflitto e processo riconciliatorio
Processo riconciliatorio e giustizia riparativa (V.gli studi condotti dal prof. Eusebi e dal suo gruppo a cui ha accennato lui stesso nel coro dell’incontro di PG del maggio scorso): la nuova figura del mediatore giudiziario.
Si sottolinea la valenza pedagogica del processo riconciliatorio e della giustizia riparativa, non più fondata sul concetto di reciprocità dei comportamenti (per es.: a un comportamento negativo si risponde con uno altrettanto o più negativo), ma sulla considerazione della realtà esistenziale dei soggetti che vengono accompagnati in un percorso di consapevolezza del proprio comportamento e di assunzione di responsabilità personale e civile, prima ancora che giudiziaria.