Comunità nome abusato, a volte pericoloso.
Tuttavia questo termine indica delle realtà così distinte che finisce per non indicare più niente.
PG in cammino alla ricerca di senso
1 – Essere o non essere “comunità”? Oggi, o si è comunità o non lo si è. Tuttavia non tutte le comunità rivestono la stessa realtà. Nella società molte comunità sono sorte, sorgono: si trovano, parlano, si riconoscono e decidono di fare qualcosa assieme, di dividere un pò la loro esistenza, o il tutto della loro ricchezza, del loro passato, del loro avvenire.
Insoddisfatti e scontenti dell’individualismo e dell’anonimato nei quali l’istituzione – a volte – pesante, e le sue forme di espressione inadatte li trascinano, molti aspirano a un altro tipo di relazione che vogliono continuare a creare.
Alcuni, dopo qualche mese, qualche anno, si separano. Ricchi di ciò che hanno dato. Creatori, altrove, di un altro tessuto comunitario in funzione delle nuove condizioni di vita, ma con lo stesso desiderio di fede condivisa.
Tuttavia – un pò dovunque -vi sono state o vi sono strutture idilliache: a disagio nelle strutture (corali e sociali) o condotti a vivere secondo altri modi di relazione, alcune persone si riuniscono in altri ambienti per pregare, per scambiare, per impegnarsi, per partecipare. Non abitano necessariamente assieme, non mettono necessariamente assieme i loro soldi. Forse non hanno la stessa età e la stessa cultura. Non sono necessariamente d’accordo, ma si ritrovano perché nelle e con le loro differenze essi comunicano allo stesso livello, alla stessa ricerca, allo stesso linguaggio…. perché assieme essi creano cose nuove, perché forse senza saperlo, essi creano la realtà di oggi, perché è la loro maniera particolare di rispondere oggi, di vivere la Pedagogia. Forse attorno alla Bibbia, a delle problematiche o a un uomo di scienza.
Dicevamo, quadro idilliaco. Constatazione sommaria di una realtà più complessa e più ambigua. La scelta di vita in comunità non è una certezza di successo. Quanti di questi gruppi si sono sfasciati, consumati dal tempo, minati dall’egocentrismo degli uni o degli altri, vittime delle difficoltà inerenti alla vita comune, alle sue costrizioni e alle sue esigenze.
Quanti hanno abbandonato, delusi, gli amici con i quali, nell’euforia,avevano deciso di vivere, di condividere, di lavorare; alcuni se ne sono andati delusi della loro esperienza comunitària. Essi si erano lanciati, a causa di un rifiuto di una società, per reazione contro certi modi di relazione.
Essi l’avevano scelta negativamente.Forse senza un progetto, senza uno scopo, semplicemente perché volevano cambiare. Essi l’avevano idealizzata, e ai primi grandi ostacoli i loro sogni si sono frantumati.
2 – UN FENOMENO INTRICATO
Malgrado tutto, il bisogno comunitario, difficile spesso da assolvere – se non impossibile – per ragioni molto materiali (locali, finanze, professione), non cessa di manifestarsi e di esprimersi. Possiamo così parlare di una moda comunitaria ?
Aspirazione profonda dell’uomo, essere sociale, questo “desiderio comunitario” si è diversamente espresso nel corso delle età. In funzione del contesto politico, sociale, economico, religioso, i suoi modi hanno cambiato. Oggi, lo stesso fenomeno – sia laico che religioso- si manifesta in modo molto originale.
Perché? Le comunità esistono e se ne descrivono i fatti, si avanzano delle interpretazioni più o meno convergenti, si emettono delle ipotesi e delle spiegazioni. Comunque siano le cose, esse nascono, vivono, muoiono, rinascono, attirano, intrigano, interessano.
3- RICERCHE COMUNITARIE – SIGNIFICATI E PROBLEMI
(Punto di vista psicologico)
A – La nostra prima reazione sta nello sbrogliare il terreno, nel classificare il fenomeno che raduna la gente sotto la nozione di comunità. Per evitare errori di interpretazione, attese illusorie, cattiva coscienza, delusioni dolorose, la prima cosa è di togliere le ambiguità e prendere coscienza della natura precisa di questo vissuto.
In una definizione tecnicamente precisa del termine si parla di comunità quando i componeteti riuniti, trovano nella struttura del loro raggruppamento la soddisfazione della maggior parte dei loro bisogni : da questa caratteristica centrale possono derivarne altri come i legami di natura affettiva tra i componenti e i sentimenti di costituire una unità. Preferiamo parlare (non di comunità monastiche, ma di gruppi che si riuniscono a intervalli più o meno lunghi per certe attività. Questi ultimi sono semplici gruppi o associazioni) delle diverse caratteristiche che fanno di un gruppo una comunità e che – in ogni caso – permettono una presa di coscienza e un’analisi dei suoi principi di funzionamento.
B- Le caratteristiche
Un primo aspetto: la dimensione più importante a questo riguardo, è l’ampiezza del “condividere” o del mettere in comune: la realtà (sentimenti, opinioni, attività…), i possessi, scambiati o vissuti assieme.
Nei beni dei gruppi, che si chiamano oggi comunità, il mettere in comune riguarda solo un settore molto parziale dell’esistenza.
Ma una seconda dimensione molto importante è l’intensità dei legami di natura affettiva tra i componenti ai quali si può riferire la coscienza di formare un’unità, che è, essa stessa, più o meno intensa.
Terzo aspetto capitale: l’atteggiamento e il comportamento nei riguardi della società circostante – soprattutto delle istituzioni – in rapporto alle quali molti gruppi ad ispirazione comunitaria cercano di collocarsi o magari di separarsi. Tuttavia va considerato che ogni creazione di comunità partecipa, oggi, a un movimento culturale che non è né proprio della società, neppure dell’ordine della generazione spontanea. Nella società moderna, la moltiplicazione e la specializzazione dei gruppi e delle istituzioni – di cui ciascuna ha le proprie funzioni, la crescita e la concentrazione demografica di certe zone, i fenomeni di massa nei consumi fanno scoppiare le appartenenze, fanno emergere una fragilità e una mobilità più grande per ciascuna di queste appartenenze e per le credenze e i valori che possono fondarle, fanno emergere relazioni sociali sempre più impersonali, più funzionali, un’organizzazione sociale complessa che impone a tutti il peso delle sue costrizioni istituzionali e marginalizza tutti coloro che – per ragioni diverse -non possono soddisfare queste esigenze.
Le aspirazioni comunitarie costituiscono una ricerca di ciò di cui molti uomini si sentono privati in questo tipo di società persino nella chiesa che partecipa più o meno inevitabilmente ai mutamenti dell’ambiente sociale circostante. Ricerca di luoghi ove le relazioni possono essere più globali e meno razionalizzate, affettivamente più ricche, dove le persone siano accolte e riconosciute nella totalità di ciò che sono, dove l’intimità e la vita privata siano possibili, dove la spontaneità e la creatività siano liberate dalle costrizioni dell’organizzazione e dal carattere formale della vita nelle istituzioni.
Ricerca di uguaglianza e di comunione nella vicendevole accettazione, senza le dipendenze gerarchiche o i blocchi ideologici, oltre le barriere sociali e culturali.. Ricerca pure di un vicendevole sostegno nella adesione ai valori che le incertezze o i conflitti ideologici minacciano .
4 – SIGNIFICATI DIVERSI – RISULTATI DIVERSI
A- Se spingiamo più a fondo l’analisi, troviamo che esistono i gruppi comunitari che nascono e possono avere significati diversi e produrre risultati diversi sia per i loro componenti che per la società secondo le loro caratteristiche. Caratteristiche che possono essere le motivazioni dei loro membri, il loro modo di rapporto con la società, il loro funzionamento affettivo, il loro modo di condividere secondo la loro dinamica e la loro evoluzione. Esse rappresentano prima di tutto, con tutte le sfumature possibili, una possibilità di sviluppo (espansione) per i loro componenti.
Una chance per molti, e in primo luogo per coloro che la vita ha isolati, è di trovare un equilibrio umano e soprattutto affettivo, una fiducia in se stessi, un’apertura agli altri che le condizioni attuali di vita rendono difficile. Come luogo di ricerca di modi di relazione, di espressione dei valori che si vogliono vivere. Possono anche costituire delle occasioni di amalgama in cui si fondono nuovi modelli di vita e di linguaggi per la comunità ecclesiale o per la città.
B- Tuttavia queste possibilità possono anche restare delle semplici virtualità, un’ambizione di cui ci si nutre, ma che resta un sogno, un’utopia generosa, ma che prende per realizzarsi delle strade che rischiano di condurre a dei risultati diversi da quelli che essa cerca. Una comunità può certo servire per i suoi componenti come un relais per una migliore integrazione alla vita sociale, di luogo di riequilibrio relazionale, affettivo, ideologico, di “foyer” con le connotazioni, a volte, calorose e radiose del termine. Ma essa può essere anche luogo di ripiegamento, di rifugio, nel cui calore ci si risparmiano i conflitti dell’esistenza sociale. Una tale ricerca della comunione ha pure degli aspetti positivi e degli effetti benefici che non vanno negati.
Ma il rischio non è illusorio di un bloccarsi a guesto stadio, a danno di un’apertura e di un rialimentarsi del dinamismo rivolto all’esterno. Rischio che non è solo legato all’intensità della funzione affettiva, del calore della comunione ricercata, ma che dipende anche dall’atteggiamento adottato dal gruppo nei riguardi delle altre appartenenze dei suoi membri, della maniera in cui esso si colloca in rapporto con gli altri gruppi, sia pure indipendentemente di ogni attitudine cosciente. Se una comunità adempie per i suoi componenti, affettivamente, ideologicamente, economicamente – o sotto altri aspetti- le funzioni che adempie abitualmente la famiglia, la parrocchia o un altro raggruppamento, essa può generare una certa svalorizzazione delle altre collettività e rendere difficile il loro funzionamento normale. Essa può anche aiutare la loro rivitalizzazione.
C – Ma il modo con cui le diverse appartenenze dei membri si articolano le une sulle altre, il modo con cui avviene l’apertura della comunità sul suo ambiente circostante, entrano per molti nella determinazione dei risultati. E il problema è tanto più importante ed evidente quanto più la comunità mira ad essere più “globalizzante” – ossia cerca di adempiere innanzitutto delle funzioni per i suoi membri, a riunirli per una più ampia parte della loro esistenza. (Essa può anche, allora, rendere difficile l’esercizio della “libertà di appartenenza” che è una delle acquisizioni positive della società moderna.)
5 – Non basta dire “comunità, comunità…” per essere sicuri di rianimare la vita sociale o ecclesiale o di rinnovare le relazioni e le istituzioni. Il significato e il valore delle relazioni comunitarie, che sono potenzialmente molto grandi, sia per i partecipanti che per la società, dipendono ampiamente dagli orientamenti profondi scelti da ogni comunità fra quelli che gli sono aperti e di cui indichiamo qualche traiettoria.
Ma questi orientamenti non sono solo una questione di decisione presa una volta per tutte. Essi si prendono anche di volta in volta, nel dinamismo della vita ordinaria: essi sono impegnati nel tipo di soluzioni che si recano ai problemi inevitabili di questa vita di gruppo.
La lista dei problemi potrebbe essere
a – primo problema: l’investimento affettivo dei membri nel gruppo. Ma va considerato – oltre i vantaggi di legami, di affettività e di espressione – quanto occorra prendere coscienza del peso che può portare una comunità quando alcuni dei suoi membri vi investono gran parte della loro affettività o vi ricercano, più o meno consciamente, un equilibrio personale in questo campo o quando l’insieme dei membri nutre nei riguardi del loro gruppo una attesa molto forte su questo piano. I conflitti, o le delusioni possono allora rivestire un aspetto drammatico a seconda della importanza delle attese e degli impegni.. Il rischio sarà tanto più serio quanto più il gruppo sarà ristretto e meno strutturato, più “informale”. Poiché a dispetto di tutto il male si possa pensare e dire delle istituzioni (e delle autorità), il loro aspetto formale costituisce un modo per canalizzare le energie fosse pure di fornire degli obiettivi per l’aggressività dei membri. Quando non si hanno di fronte che delle “persone” e che la volontà di essere informali rende incerti sul modo di condurre i problemi affettivi (e gli altri), i conflitti rischiano sempre di rivestire una maggiore gravità. Molte comunità sono esplose sotto il peso delle aggressioni affettive di cui erano state l’oggetto o il luogo.
Ed è più importante ancora essere lucidi su questo genere di problema quando il gruppo conosce una dipendenza affettiva maggiore di alcuni dei suoi membri nei riguardi degli altri, di un leader o di un altro membro.
Il problema dell’accogliere i nuovi soci è pure cruciale, poiché è segno di relazione della comunità con l’ambiente circostante. Si può risolvere con facilità nei gruppi che hanno più dell’associazione libera che della comunità e può servire di aiuto per tutti coloro che vi passano. Ma quando un gruppo si è dato una identità ideologica o affettiva abbastanza forte, l’arrivo di un nuovo socio può diventare un vero problema o essere sentito come una minaccia. La soluzione recata a questi problemi è in ogni caso rivelatrice delle capacità di apertura e di mutamento del gruppo.
La maniera con cui il gruppo gestisce le proprie diversità è pure importante. Poiché – a dispetto dei linguaggi spesso molto “umanisti” o egalitari, a dispetto anche della necessaria omogeneità – nessun gruppo sfugge ai problemi delle differenze e delle disuguaglianze tra i suoi membri qualunque siano le ideologie, le culture, o altro. Se la volontà di comunione o un attacco un pò idealista nei riguardi degli altri, reprimono l’espressione delle differenze o il riconoscimento dei conflitti o impedisce l’accettazione vicendevole dei membri con i loro limiti e i loro difetti, l’unanimità proclamata, rischia di lasciar covare delle tensioni esplosive e di proporre infine più problemi di quelli che risolve. Ciò si può applicare anche a quelle comunità che cercano di evitare ogni relazione di autorità, ogni denominazione, sia alla volontà di superare le differenze sociali e culturali e di giungere a una partecipazione uguale di tutti.
Molti di tali progetti sono legittimi e ammirevoli, pure l’illusione di credere che si è giunti a realizzarli può nascondere delle dominazioni tanto più efficaci e delle disuguaglianze tanto più reali che sono “negate” dal gruppo.
Da ultimo: l’inevitabile e necessaria istituzionalizzazione . Le istituzioni godono di cattiva opinione in molte comunità che si sono create precisamente per ovviare alle carenze di queste istituzioni.
Le aspirazioni
– alla spontaneità,
– alla libertà dell’informale,
– alla scioltezza di adattamento alle persone,
– alla creatività;
sono ciò che fanno la ricchezza di queste comunità e fondano la speranza posta in esse.
Ma nessun gruppo può durare a lungo su di un movimento di entusiasmo senza regole. Occorre una certa strutturazione, perché i membri non abbiano a fornire senza riposo un fervore intenso o a portare l’insicurezza, o l’arbitrario, che finiscono per andare con l’invenzione continua. E’ il gruppo che deve fissarsi un certo equilibrio tra la libertà o la creatività e una istituzionalizzazione degli obiettivi, delle regole e delle responsabilità nel gruppo e delle relazioni esterne. Ma superata la spontaneità dell’inizio, sarebbe ambiguo – o pericoloso – il non accettare che si smorzi una dinamica dell’istituzione. Se si vuole evitare una survalutazione affettiva del gruppo, occorre aiutare i membri a collocarsi nel loro ambiente, precisare le risposte che apportano alla vita sociale nei suoi funzionamenti, alla divisione dei compiti e dei poteri, a ciò che pone la sessualità, ecc.
6- PEDAGOGICAMENTE
La comunità oggi è una aspirazione ad essere pienamente uomini e donne e a poterlo essere assieme: sviluppo personale, espressione di sé, riconoscenza reciproca, la più grande suddivisione di relazioni affettive. Ciò è una ricerca di salvezza nella misura con cui si cerca di salvare gli uomini da ciò che li minaccia nella attuale organizzazione sociale.
Ciò è espressione e conseguenza necessaria delle iniziative attraverso le quali Dio raduna gli uomini per una comunità reale e non astratta: un solo popolo di Dio. Occorre allora non stupirsi se la ricerca della vita comunitaria ha momenti di crocifissione in cui la fecondità dell’amore non può che essere affidata al Padre nella speranza, poiché la comunità è anticipazione significativa del Regno di cui non si sa l’ora. Perciò nella comunità occorre essere trasparenti e lavorare per la dignità di ogni persona lavorando nel senso della vocazione di ogni persona.
7 – DALLA COMUNITA’ AL CENACOLO-ACCADEMIA
A – Noi siamo responsabili se la Pedagogia di coloro che la scelsero per vocazione è oggi imprigionata, priva di ogni libertà in un ambiente che cerca di imprigionarla nell’ambito di vita privata dell’individuo. Che fa una comunità per smascherare questi idoli educativi e formativi dei nostri tempi e per liberarsene?
Occorre ricercare una fiducia reciproca, suscitare intuizioni, audacia e l’umile disponibilità per poter accogliere le conoscenze già acquisite. Si tratta per una comunità di mettere in pratica i progressi vissuti con piena lealtà, liberi dalle ansie personali, senza confonderli con il fine della Pedagogia.
Cosa che rischierebbe di fermarci nel nostro cammino anziché incitarci a proseguirlo. Donde la necessità di un ulteriore cammino verso il godere di ciò che si è e si studia poiché se non si gode con significato non si gode per niente . Una comunità evolve verso un certo senso del benessere e se esso non si accompagna con la proposta di qualche ideale plausibile, alla fine diventa malessere.
In una comunità bisogna sperare, tornare a sperare, ma per amor di Dio, sperate in qualche cosa. Bisogna dunque che la comunità riscopra la sua fede e la sua identità. E la gioia deve ritornare ad essere il problema centrale. Dove si ama gioiosamente la vita, si ridia ai pedagogisti e ai cultori delle scienze umane il gusto di guardare avanti, la voglia di avere un futuro, l’energia necessaria a costruire per le generazioni che verranno una società più vivace, più pronta a capire il senso ultimo delle cose ed esaltare i veri valori dell’esistenza.
B – Una comunità, quando matura, giunge a una specie di raccoglimento su se stessa ed i suoi componenti sembrano dimenticare le tensioni di ogni giorno per un bisogno di ritrovarsi attorno ad un interesse che sovrasta il contingente e fa degli studi e del ritrovarsi una specie di ascesi. Diventa cenacolo di idee e di relazioni: tutti attorno allo stesso tavolo alla ricerca e al godimento di un bene comune da spezzare con tutti, serenamente e severamente.
Poiché il cenacolo si fa desiderio di comunanza di valori, esso non può che riunirsi come in un riposo e in una contemplazione del vero per correre poi a distribuire la gioia che vi si genera ad ogni incontro. Nel cenacolo ognuno è la propria verità personale e storica comunemente accolta. E’ il luogo dove il dire si struttura nel dare la propria parola e nell’accogliere quella dell’altro. Un incontro di cenacolo fa ogni volta più ricchi di un pensiero che vi nasce e che si interiorizza o che riceve guanto ognuno ha per riflessione, scoperto in sé tramite una lettura, una ricerca, un evento, una scoperta. E’ luogo di un continuo andare e venire di questo bisogno di far progredire sé dicendo e ricercando il vero perché altri ne goda.
Il cenacolo è luogo di condivisione ancora, dove le tensioni riposano,le gioie si dividono poiché al di sopra di un cenacolo esiste un Verum et un Bonum che chiamano ognuno a trascendersi.Un cenacolo può essere luogo di arte che, pur discussa, nelle diverse tensioni personali, fa più attenti alle vibrazioni degli esseri che si impegnano. La storia è ricca di tali cenacoli. Quando il discorso in essi fluisce ed ognuno vi trova spazio per esprimersi: dirsi o ascoltare, tacere per amore di…o urlare per altrettanto amore di…, un cenacolo può sentire l’urgenza di produrre. Allora si esprime, nei ritmi che si da, in accademia dove il pensiero detto si struttura in opera e produzione.
C – E’ tale il godimento che si ha per il ricercato che esso va steso, scritto, detto, perché altri ne tragga forza di pensiero e di vita. L’accademia produce non per il futuro, ma per il passato. a!tri verrà el eggendone le opere, vi troverà riflessioni e studi talmente approfonditi che ne trarrà motivo di ulteriori ricerche. L’opera nasce nell’accademia per filiazione: nessuno sa prima su che convergerà la scelta della stesura di un pensiero discusso in comune negli incontri.
E’ qui che il cenacolo si esprime in accademia : il pensiero della ricerca assieme goduta si fa opera. E il mondo ha bisogno che qualcuno vi getti degli atti pedagogici. Ma l’azione non può essere che il trasbordare della contemplazione. Gli uomini,essi non possono stimarvi che “solido”. Voi non avete il diritto di crollare, la vostra fragilità è presagio della loro e li mette nel panico… E’ normale, è umano. E’ dunque necessario il cammino dalla comunità al cenacolo accademia sempre perché ciascuno sta dov’è, sta assieme per ricercare ed è ovunque per promuovere.