INTRODUZIONE
Questa relazione si riferisce al lavoro condotto dalla Associazione Pedagogia Globale (www.pedagogiaglobale.eu) negli anni 2018-19.
Il tema scelto: “La parola”
in rapporto ad ambiti diversi: relazione, tecnologia, teatro, potere, politica.
In sostanza, si dà atto di un confronto fra gli esperti invitati e i soci di P.G.
Offriamo questo piccolo contributo senza alcuna presunzione, ma convinti che la correttezza e la consapevolezza nell’uso del linguaggio abbia una ricaduta positiva sull’etica civile “in vista di una convivenza sociale capace di generare futuro”.
- 18 Marzo2018
CHIARA GIACCARDI
PAROLA E RELAZIONE
Prendere la parola per valorizzare la relazione
Custodire la parola per nutrire la relazione
L’esposizione della professoressa Chiara Giaccardi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso L’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, viene svolta con il commento di una serie di slides pubblicate sul sito di P.G. Parte da una riflessione sull’etimologia del termine “parola” (parabola) e sottolinea che elementi costituivi della parola sono i due concetti di mythos e logos. Logos è la parola rigorosa, dimostrabile, mentre mythos è la parola che annuncia, che rivela. Mythos e logos devono essere in equilibrio fra loro. Bisogna evitare la separazione e la contrapposizione, altrimenti la dimensione mitica ritorna in forma rimossa. Mythos e logos devono rimanere in tensione di reciprocità, in un rimando continuo, in modo da compensarsi l’un l’altro. Occorre recuperare il mythos, perché esso è la parola che rivela il raccontare denso di una verità che serve, che ha significato per la persona. Il mythos è parola di relazione generativa, matrice di senso, finestra sull’alterità, apertura che può essere sempre fonte di ripensamento.
Nel pensiero di Panikkar si distingue fra ‘termine’ e ‘parola’; il primo esprime ciò che è preciso e codificato, termine ha una universale traducibilità; parola, essendo mythos e logos, è materiale e spirituale, conchiglia che riesce ad evocare il mare. I termini sono etichette, la parola deve essere finestra. La parola autentica genera qualcosa di nuovo, i pilastri della relazione IO-TU, è intrinseca alla comunicazione che è fenomeno integrale di parole e silenzio, è la dimensione relazionale.
LA NOSTRA RIFLESSIONE E IL NOSTRO DIBATTITO
Certo, l’etimologia della parola risale a “parabola”, narrazione tipica della cultura rabbinica che la definisce “lampada” perché dotata di forza poetica e cognitiva, due elementi che richiamano mythos e logos, sottolineando dunque un probabile parallelismo fra culture tanto lontane.
Lontane appaiono anche la cultura umanistica e quella tipicamente tecnologica, ma la sfida sta nel condividere le esperienze attraverso una metanarrazione che richiede luoghi di formazione diversi dagli attuali. Anche la dimensione religiosa oggi viene meno, perché la sua trasmissione, incapace di rigenerarsi, viene vissuta in dissonanza con la tecnica che demolisce ogni limite e pretende di rispondere a tutte le domande. Occorre vivere il silenzio non come tempo vuoto, ma nella sua dimensione di attesa, capace di suggerire un cammino in cui proprio il limite è fortemente educativo. La politica è diventata solo gestione di interessi e anche il recente documento dei Vescovi toscani su ‘La forza della parola’ (Lettera su comunicazione e formazione a 50 anni dalla morte di don Lorenzo Milani – EDB 2018) non sembra essere recepito.
- 20 Maggio 2018
ELISABETTA LOCATELLI
PAROLA E TECNOLOGIA
Si è detto della incidenza della nuova tecnologia sulla sensibilità collettiva, incidenza che sollecita l’incontro di P.G. con la professoressa Elisabetta Locatelli, esperta di mass-media e della trasformazione culturale che attraverso essi si compie.
Si inizia dalla etimologia della parola. In greco techne, arte e perizia, donate secondo il mito da Atena in campi diversi, dall’artigianato alla medicina, ma anche alla dimensione speculativa che, quando vira nella direzione dell’uso della parola, può anche sfociare in quella retorica che sostituisce alla relazione vera la manipolazione dell’altro. A conservare la parola è la scrittura su tavolette e sul papiro che potenziano da un lato la memoria, dall’altro inducono ad un dis-allenamento della stessa.
Con l’avvento della stampa si arriva (cfr. Mc Luhan) alla privatizzazione della esperienza religiosa (Protestantesimo) e di lì inizia quella medializzazione della cultura attraverso i vari supporti, dal libro, alla radio, alla televisione, allo smartphone: dallo scritto all’ immagine, quindi al primato della vista su tutti gli altri sensi. Questi sofisticati mezzi tecnologici ci riempiono di meraviglia, ma purtroppo inducono ad un rispecchiamento di sé, a un narcisismo che esigerebbe l’intervento di anticorpi intellettuali. Occorre distinguere, nei mass-media, la prospettiva del contenuto da quella della relazione: la prima consente la condivisione, la seconda promuove la relazione interpersonale. Al di là delle community di supporto, ci sono rischi sia a livello della informazione (notizie false) sia a livello relazionale (cyberbullismo).
LA NOSTRA RIFLESSIONE E IL NOSTRO DIBATTITO
Ci si sofferma soprattutto sul passaggio dall’homo sapiens all’homo videns analizzato da Raffaele Simone, studioso di linguistica e filosofia del linguaggio, che esprime un giudizio piuttosto severo: l’uomo, afferma, è ridotto ad un ruolo di consumatore della rappresentazione del mondo, per cui la ipotetica neutralità dei mass-media viene a cadere. Si aggiunga la trasformazione a livello di procedura del pensiero in questo passaggio dall’homo sapiens all’homo videns: nel primo è presente una struttura del pensiero analitico-sequenziale derivata dalla lineare sequenza dei termini propria del linguaggio verbale; nel secondo una intelligenza simultanea stimolata dalla immagine che si traduce via via in un pensiero olistico, vago, generico.
Si passa poi all’appello di Emanuele Severino all’uomo affinché sfugga all’alienazione di questa avanzatissima tecnologia (Tecne, Rizzoli 2002) e a quello di Vittorio Mathieu affinché la materia non sparisca in quanto indistinguibile dal virtuale.
- 29/30 Settembre 2018
“A CASA DI” …SCENA SINTETICA BRESCIA
PAROLA E TEATRO
Nel suo cammino di approfondimento sul tema della parola, P.G. incontra Scena Sintetica, Associazione Culturale e Teatrale fondata a Brescia nel 1986 e aperta ad una comunità libera che si interroga sul proprio destino, facendo rifiorire il territorio desertificato delle emozioni. Nella domanda del prof. Giacomo Spada, filosofo e logopedista che ci accoglie, si traduce direttamente il nostro tema di lavoro: ” Può la parola essere ancora un efficace strumento di relazione e trasformazione umana e il linguaggio il luogo deputato alla ricostruzione del cuore?”.
Il panorama oggi è desolato; la parola è diventata veicolo di informazione e la informazione resta una modalità irriducibile alla relazione. Così anche Bauman nella società liquida sostiene, e così anche nella relazione pedagogica si può sperimentare. Tutto questo ci porta a recuperare in un nuovo e prezioso significato il motto giovanneo: “In principio era la parola”. La parola quindi, fattore di trasformazione della sensibilità e della intelligenza umana.
Ma può la parola raccontare un mondo sensoriale che vada oltre ogni possibile confine linguistico? Già Hugo von Hofmannsthal (1874/1929) dice di no, perché essa non può restituire l’irripetibile insito nel divenire. E quindi il silenzio, l’inconsolabile rimpianto per il paradiso perduto dell’immediatezza. Viene così messa in crisi la relazione rappresentativa fra la parola e il mondo, ma l’attacco alla parola nel XX secolo non si esaurisce qui.
Nel XX secolo, infatti, il neo positivismo logico richiede che ogni proposizione per essere significante debba essere verificabile con criteri empirici, altrimenti entra nell’ineffabile della metafisica. Ed ecco allora il teatro dell’assurdo di Jonesco. Il colpo mortale sferrato contro il linguaggio, però, arriva dalla distorsione operata dai regimi totalitari ai fini della loro propaganda. Di qui la condanna del linguaggio, perché è stato esso stesso che ha contribuito alla Shoah. È nell’opera di Beckett che il linguaggio entra nella più profonda crisi, crisi dove la parola è privata anche di ogni funzione di testimonianza, perché da rappresentare sono rimaste solo le tessere di un puzzle.
Siamo quindi condannati fra la Scilla del silenzio di Hofmannsthal e la Cariddi del balbettio di Beckett? Il momento che attraversiamo rende necessaria una presa di posizione: abbandonare il teatro per forme di comunicazione più iconiche ed immediate in sintonia con i cambiamenti che l’evoluzione tecnologica sembra aver portato alla sensibilità collettiva?
Negli anni ottanta Emo Marconi, (1917/1997) che credeva che il teatro avesse una funzione sociale alta, apportò dei cambiamenti: tempo ridotto per gli spettacoli; scelta di un tema che avesse un significato per la comunità attraverso il simbolo; parola rivolta al pubblico dagli attori che scendono dal palco, parola in versi, parola poetica perché ripristinata nella sua integrità ritmo-prosodica che la porta ad essere strumento di relazione. Chi assiste, così, non è spettatore, ma persona immersa in una esperienza multisensoriale capace di trasmettere la pulsazione dell’energia primordiale che connette il tutto nel tutto e qui può riconoscere la propria immagine.
- 25 Novembre 2018
MARIA TERESA ROSSI
PAROLA E EMOZIONI
Maria Teresa Rossi, filosofa e psicoterapeuta, ci ricorda che la parola è una caratteristica specifica dell’essere umano. Heidegger diceva: ” Noi siamo un colloquio”. Oggi il linguaggio sembra sovradimensionato in senso emotivo, appare viscerale, veicola rabbia, paura, commozione, suscita lacrime ma è autenticamente emotivo? Le emozioni passano ancora attraverso la mediazione della parola o vengono semplicemente agite?
Per riflettere sul legame: emozione-parola, occorre introdurre il concetto di interiorità che si nutre di tempo, attesa, silenzio e questo non vale solo in campo terapeutico, ma anche nella relazione parola-emozione nell’ambito della comunicazione quotidiana. Dai presupposti elencati come validi nella relazione terapeutica si passa quindi a prendere in considerazione alcune antinomie che sono oggi d’ostacolo alla parola.
Superficialità vs profondità
Caratteristica del nostro tempo, afferma Vittorino Andreoli nel suo “Uomo di superficie” (BUR 2012), è questo sguardo intrappolato nelle emozioni transitorie che, nel loro caotico succedersi, erigono barriera alla domanda: “Chi sono?”.
ln “Amore liquido” Zygmun Bauman (BUR 2003) individuava nel mito commerciale della novità continua il fattore che impedisce alle emozioni effimere di accedere alla componente cognitivo-affettiva propria del sentimento, che esige anche la dimensione del tempo, confermando la tesi di Emmanuel Levinas secondo cui l’uomo, tentato dalla tentazione, rifiuta l’abitudine.
“Quando si pattina sul ghiaccio sottile, la salvezza sta nella velocità”. (Ralph Waldo Emerson)
Di analfabetismo emotivo scrive Umberto Galimberti sostenendo che è il tratto caratterizzante l’uomo moderno: l’emozione non riconosciuta si scarica nell’azione.
Chiacchiera vs parola
Martin Heidegger aveva affermato: “noi siamo un colloquio” ma nella chiacchiera aveva individuato una modalità comunicativa priva di riflessione e risonanza interiore perché le parole, per essere creative, devono partire da una interiorità nutrita di attesa, ascolto, silenzio.
Silenzio vs rumore
II silenzio, bandito dal nostro tempo, diventa incubo, al punto che si cerca di interromperlo perché viene vissuto come un vuoto che deve essere colmato.
LA NOSTRA RIFLESSIONE E IL NOSTRO DIBATTITO
Se si è capaci di creare silenzio in noi stessi si stabilisce una continuità che non ci consegna all’eterno presente. Occorre accettare la monotonia, il vuoto apparente che ci arricchisce nella ripetizione, dando sicurezza e stabilità utile sia ai bambini, sia agli adulti. Occorre una fisicità comunicativa perché l’emozione si declina nel corpo e nei muscoli; le parole si sono svuotate perché prive di emozioni. Esistono forme diverse di solitudine; bella quella del contatto con se stessi dove siamo alla ricerca di un senso, anche se per alcuni la solitudine ha un senso solo nel cammino di ricerca della verità.
Oggi è l’età dello smarrimento, un momento orizzontale in cui vengono a mancare le certezze e anche le verità delle scienze non sono riconosciute. Occorre ritrovare la riflessione, perché se non riusciamo ad entrare in una dimensione verticale, il dramma oggi è il ritiro, ossia l’essere prigionieri di se stessi.
Le parole si logorano nel tempo cambiando significato, e di questo ci si accorge dallo sguardo dell’altro. Tanta più carnalità è espressa in ciò che vivi, tanto più possono essere carnali le parole che toccano. La grande sfida educativa rimane quella della prossimità nei confronti delle coppie genitoriali nei primissimi anni di vita dei loro bambini perché è in quel tempo che si formano tutte le mappe emotive attraverso l’ascolto ed il rispecchiamento.
Uno dei grandi problemi, soprattutto durante l’adolescenza oggi, consiste nel mancato contatto con le emozioni, si rimuovono o ci si disconnette da esse perché è troppo doloroso affrontarle; la stessa sensibilità è vissuta come fragilità, quindi viene mascherata. Solo la consapevolezza resta la risorsa insostituibile. La cultura non deve essere solo trasmissione di contenuti, ma strumento di sviluppo dell’interiorità.
- 20 Gennaio 2019
BRUNO BECCHI
PAROLA e POTERE
La parola come strumento di acquisizione di potere, di sviluppo delle proprie competenze e di promozione sociale
Il prof. Bruno Becchi, docente di storia contemporanea, affronta il tema mettendo in luce il disagio sociale, la povertà economica e la povertà culturale.
La povertà economica, che continua ad essere presente nella nostra società, come nel dopoguerra e come ai tempi di don Milani e della scuola di Barbiana, si somma alla povertà culturale che oggi deriva, in primis, dalla svalorizzazione dello studio (l’inconscio collettivo muove al pregiudizio e alla facile assunzione di verità indotte: “non serve studiare tanto per guadagnare poco” e, conseguentemente, dalla incapacità di porsi degli obiettivi, di progettare il futuro.
Si ricorre sempre più frequentemente a internet per documentarsi, mistificandone le potenzialità e illudendosi di possedere le chiavi di accesso a tutte le conoscenze.
Già Albert Einstein affermava: “Brutto giorno quello in cui le tecnologie prenderanno il sopravvento sulle menti umane. Da quel momento avremo soltanto delle generazioni di perfetti idioti.”
Perfetti idioti, cioè piccoli uomini mai cresciuti, che non sanno affrontare gli ostacoli, che non sanno valutare i limiti, che demitizzano l’autorità e la ricerca di ciò che è vero e vivono in un eterno presente.
- 4 Febbraio 2019
MARCELLO GIACOMANTONIO
RELAZIONE TRA PAROLA E POLITICA
La forza della parola al tempo delle fake-news
Il prof. Marcello Giacomantonio, esperto di comunicazione, ha trattato il tema mettendo in luce che la crisi della parola è crisi del pensiero e del suo dialogo con l’universo dell’affettivo; crisi della parola è crisi dell’uomo tutto.
Nella gestione del potere, una società può riflettersi come in uno specchio e per questo ciascuno deve assumersi la sua responsabilità nel disertare la chiamata alle urne per scegliere i suoi rappresentanti. Certo è difficile orientarsi nell’oceano in cui allo stesso livello si trovano le false e le corrette informazioni; dove la competenza autentica non si differenzia rispetto alle credenze personali favorite anche da meccanismi psichici che richiedono la riduzione delle distanze cognitive ed il sondaggismo si è indirizzato verso una deriva chiamata da Stefano Rodotà “sondocrazia”.
A sostenerlo è proprio il presidente della società di analisi e ricerche di mercato Nando Pagnoncelli nel suo saggio “La penisola che non c’è” (Mondadori 2019). Egli definisce l’opinione pubblica persuasore occulto di ogni agire politico e ne passa in rassegna i punti chiave che caratterizzano le “affaticate” democrazie occidentali. Essi sono, accanto alla citata indisponibilità a riconoscere le competenze e alle fake news, la fine della mediazione, le esasperate conflittualità che conducono ad una concezione distorta della realtà stessa.
Il sondaggio, strumento di conoscenza richiesto dal nostro tempo, non dovrebbe diventare “un oracolo che orienta” al punto che il fine della politica è ormai la ricerca di consenso. Fra i Paesi presi in considerazione, l’Italia è al primo posto nella “distorsione percettiva”. Tutto questo è alimentato da tre cause: bassa scolarizzazione, spiccata emozionalità, limitate fonti di informazione.
Ci si chiede a questo punto se queste potranno mettere in crisi quell’esperimento antropologico che si chiama “invenzione della democrazia” e che si riflette nel testo della Costituzione e, per quanto riguarda “lo spirito europeo “, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo adottata dalle Nazioni Unite. Alla sua base c’è una concezione molto solida della persona umana nel suo potenziale “diventare” e nel suo “essere”. Vi approdano sia il prodotto di tre rivoluzioni, la francese, l’americana, la russa, sia la complessa rete di intuizioni che stanno alla base della rivoluzione greco-romana e giudaico-cristiana.
Nei corsi e ricorsi della storia non sono nuove le crisi che, con tutte le variabili del caso, sono riconducibili alla conflittualità fra i territori del conscio e dell’inconscio. In questo momento storico, sottolinea Enzo Mauro, non ci si accorge che si riscrive il contratto sociale della post-modernità parallelamente ai mutamenti nel sentimento collettivo dominante: infatti non è solo con le parole ma anche attraverso violazioni continue di un codice vigente che lo si fa saltare, e questo alla fine mette fuori gioco la politica.
Ma senza la politica è la società civile ad essere sconfitta. Forse il sentimento collettivo dominante è alimentato anche da altri fattori: crisi economica, divergenza fra le soluzioni prospettate, cancellazione di posti di lavoro ormai inadeguati rispetto alla innovazione tecnologica ed ecco che una semplicistica lettura della situazione senza alcuna rielaborazione a livello psicoaffettivo conduce ad individuare nel volto del migrante quello del nemico.
LA NOSTRA RIFLESSIONE E IL NOSTRO DIBATTITO
Da dove incominciare? Dalla formazione della persona quindi dalla famiglia, perché essa incide sulle strutture psichiche intime fondando le trame inconsce del pensiero del neonato anche attraverso la trasmissione del “sacro” inteso qui in senso lato ossia ciò che è portatore di un valore intangibile, del più alto rispetto come il confine fra il diritto ed il dovere, confine che da anni è saltato.
Platone nella Repubblica afferma: “Non si introducono cambiamenti nel mondo della musica senza che non se ne introducano nelle più importanti leggi dello Stato”, filo diretto fra l’universo dell’affettivo e quello della sintesi fra la logica e l’etica, codificato nella Legge. Sarebbe quasi impossibile dare inizio ad un discorso sull’etica civile o sociale se sul piano affettivo non si fosse adeguatamente strutturato quel rapporto tra io e l’altro che sta alla base della relazione umana.