Qui “onore” è un concetto sostantivo e riguarda il legame con il bene. Riguarda però, in particolare, il legame sociale con il bene, il legame “politikon” con il bene. Non è la versione narcisistica, non è l’onore di sé, non è la stima di sé, il piacersi, ma è il legame col bene, con ciò che è giusto, con ciò che è degno, che diventa la virtù sociale per eccellenza. Perché è la figura non più dell’eroe ma dell’oplita il nostro comune legame con ciò che è degno è la nostra massima forza. La nostra alleanza intorno a ciò che è degno è la nostra massima forza.
Allora onore non semplicemente a colui che, essendo nobile, di grande statura e di tradizione guerriera, da solo combatte il drago. Onore a tutti noi, anche anonimi politicanti, cioè anonimi legati da un patto sociale che stiamo fermi e tenaci – anche nell’anonimato – su ciò che è degno. E se stiamo legati assieme a ciò che è degno non passa niente. Nessuno può passare. Anche l’eroe, se dall’altra parte un eroe del male osasse sfidarci, può essere un eroe di grande casato ma contro questa testuggine non può niente.
Anche Platone, che ha un concetto trascendente del bene (come Aristotele, che ha invece un concetto ormai più pratico, un’etica del bene come ciò che è realizzabile, ciò che è da fare), usa volentieri l’equazione tra amante dell’onore e amante del bene, e il politico (erano altri tempi!) è colui che realizza questo legame e nella misura della propria responsabilità lo custodisce, lo propizia, lo favorisce.
C’è un’altra versione però che intanto si fa strada, anche prima di questa versione politica, e prende un filo parallelo: questa ha a che fare direttamente con quello che ho chiamato per brevità la “svolta della modernità”, di cui dopo si potrà dire solo brevissimamente perché, credo, ne siamo tutti un po’ avvolti.
Ed è l’uso del concetto di onore, onorabilità, stima, uomo degno di stima che è legato alla ricerca della verità, non tanto nel senso astrattamente intellettualistico, un onore, un rispetto per quello che fa grandi pensamenti.. no, perché anche qui c’è un motivo polemico, ma è una polemica non guerriera (come nella prima direzione, ecco perché aggiunge qualcosa).
E’ la polemica, il distacco, la capacità di dissociarsi e, nello stesso tempo, di intervenire nella sfera dell’opinione.
Pensate Parmenide che ci consegna espressioni del tipo: “La saggezza sta nel sottrarsi al gregge dei mortali dalla doppia testa, i quali continuano a vivere indifferenti alle contraddizioni”… Una volta sì, una volta no, a loro va sempre bene, quelli a cui va bene sempre tutto. L’unica volta in cui non gli va bene è sempre e soltanto quando riguarda loro stessi. Quando riguarda sé la legge generale, naturalmente, è sospesa. E quindi sono gregge e insieme atomi gli uomini dalla doppia testa.
Avere la forza d’animo, il coraggio, la magnanimità per non essere né gregge né atomo per quanto riguarda la formazione della propria coscienza, dunque la ricerca della verità, dunque la riflessività che va oltre l’apparenza (all’apparenza tutto sembra uguale).
Però se ci pensi vedi che lì c’è una cosa e qui in realtà non c’è. Che lì c’è qualcosa di apprezzabile che qui non c’è. Questa è la mediazione della riflessione.
La riflessione ha un aspetto polemico, non diretto, non necessariamente diretto, che è altamente onorabile.
Onore a quelli che fanno il passo della riflessione, della riflessività, che non si fermano alle apparenze (le apparenze, le opinioni, la Doxa, il pettegolezzo, il giudizio avventato e superficiale), che già San Tommaso poi metterà – e la tradizione della morale dei manuali, fino agli anni ’50 di questo secolo, mette – tra i peccati che riguardano l’onore.
Se guardate in un dizionario di teologia morale vedrete che tra i peccati che riguardano l’onore c’è la detrazione, la maldicenza, il pettegolezzo, ecc.
C’è già un anticipo della modernità in questo, perché la morale manualistica di questo tipo si forma nel ‘600/’700 e lì ormai l’onore è questione precisamente “di cosa pensano gli altri”.
Invece nella tradizione greca antica c’è la capacità anche di sottrarsi non all’opinione del gregge (perché il gregge non ha opinione), ma di sottrarsi all’idea di vivere i contenuti, le idee, ecc., alla giornata. Questa è la vera differenza. Non tanto dire: “Io singolo sfido questo gruppo di opinione, ecc…” (può essere anche questo, ma non è che necessariamente stia lì la cosa).
In generale questo lo possono fare veramente tutti, ma l’uomo riflessivo, che cerca la verità, la saggezza, ecc., merita onore per questo.
Allora l’onore non è soltanto fortezza dell’animo, ma è legato alla gloria, alla fama, alla dignità, al meritare stima, perché non si è schiavi delle apparenze.
Per non esserlo, per essere riflessivi, la tradizione dell’occidente – che però il cristianesimo ha assunto quasi in blocco (in questo tipo di spiritualità) – dipende all’80% dallo stoicismo. Il cristianesimo antico non ha quasi niente di suo, dal punto di vista della morale quotidiana. Lo stoicismo è certamente la più grande morale dell’antichità, e attraverso mille rivoli arriva fino al cristianesimo.
Ora cos’è tipico dello stoicismo? E’ una concezione ontologica peraltro piuttosto rudimentale, se volete, che tuttavia è riuscita a suggerire una grande sapienza morale, per cui la realtà è fatta di atomi che si aggregano. Questi sono i due poli.
L’obiettivo dell’uomo morale, degno, l’obiettivo della coscienza riflessiva, è precisamente questo: riuscire a resistere a questi due estremi, riuscire a resistere all’impulso all’aggregazione (da qui l’idea degli “stoici contro il piacere”, ecc. Non è contro il piacere, ma contro il piacere animale, ammazzare come se si mangiasse e mangiare come se si ammazzasse) e cioè rimanere legati all’aggregato, rimanere aggregati, essere vittima dell’aggregazione. Dall’altra parte, l’altro estremo è sperare che la libertà da questa aggregazione e, dunque, la qualità dell’umano, stia nel diventare atomo.
Invece la qualità dell’umano sta nella qualità delle relazioni (con le cose, con gli esseri umani, ecc.) e questa qualità delle relazioni è legata alla riflessività: bisogna decidere sulle relazioni perché per moto spontaneo esse fanno o aggregati o si rompono in atomi, così, da un momento all’altro. Riflessività per decidere nella qualità delle relazioni e capacità (cerco dove sta l’onore) di guadagnare una saggezza capace di diventare legame sociale, legame giusto: di realizzare la sapienza e la giustizia insieme, di saper realizzare i giusti legami.
Nello specifico le virtù sono “giuste temperature” (al fuoco degli stoici e poi all’estremo raffreddamento). Ecco che qui si forma una tradizione molto frequentata dal cristianesimo, in cui degno d’onore, prototipo dell’onore non è il guerriero, ma l’uomo saggio che vi arriva attraverso l’ascesi.
Essa non è semplicemente darsi le bacchettate sulle dita, così Gesù è contento che noi ci facciamo del male. Queste sono balengherie di devoti ben intenzionati, ma l’ascesi, l’esercizio spirituale non l’ha certo inventato il cristianesimo.
Nella nostra quotidiana lotta e fatica di stabilire i giusti legami, sia come rapporti sociali, sia come rapporti con le cose, ecc., per evitare di diventare atomi che volano via, insignificanti e meri aggregati spinti da una forza che prevarica su di noi, aver la possibilità di guardare, di fare memoria dell’uomo riflessivo, sapiente: questa è la nostra “chance”, la nostra fortuna.
Onore agli uomini riflessivi e sapienti, perché essi sono e rimangono una benedizione per tutti, sia che abbiano scritto delle cose, sia che col loro esempio abbiano allevato figli e discepoli.
Così è formato il quadro delle radici più antiche e più profonde che operano dentro la costellazione di quelle figure nelle quali noi abbiamo cercato il filo di una riabilitazione dell’onore.
L’onore come qualità, che certo comporta la fama e il riconoscimento, associato a questi due cespiti: da un lato la fortezza del conflitto in cui è in gioco la dignità dell’umano; dall’altro la sapienza riflessiva e perciò anche ascetica, in cui è in gioco la composizione o la disgregazione dell’umano.
Voi capite come queste figure siano lontane dall’idea di un’onorabilità che è fatta semplicemente di rispetto formale, che però oscura le qualità del singolo; noi siamo troppo corretti (“politically correct”), sicché il rispetto ormai è una forma pregiudiziale di una presa di distanza, noi siamo atomi o aggregati occasionali perché ormai nessuno è più interessato alle qualità delle relazioni.
E allora, non essendo più interessati alla qualità delle relazioni, l’inevitabile conflitto attraverso il quale ci si guadagna dignità per gli esseri dell’uomo, naturalmente ha una sua esplosione selvaggia, non ha più quel minimo di dignità che una volta gli antichi chiamavano “splendore dell’umano”, anche nelle situazioni più brutte, che può essere anche la fortezza della “pietas”, la fortezza della compassione, ma esplode selvaggiamente.
Queste sono le due figure: la fortezza con la quale è assicurata la dignità dell’umano e la sapienza riflessiva che, attraverso l’ascesa necessaria, l’esercizio necessario, cura la qualità dei legami.